Se durante il trasferimento dal fermentatore primario al tino di travaso non abbiamo effettuato filtrazioni estreme, possiamo stare certi che una parte, sebbene piccola, di lieviti ancora attivi è stata trasferita assieme alla birra e, nella maggior parte dei casi, una volta effettuata la carbonatazione, il nostro lavoro è terminato.
Ciononostante, se la birra al momento dell’imbottigliamento dovesse avere una percentuale alcolica rilevante, superiore al 8% o 9% ABV, oppure avesse trascorso diversi mesi in Lagherizzazione, la quantità di lieviti attivi presenti potrebbe non essere sufficiente a rifermentare ulteriori zuccheri aggiunti, quindi, una modesta integrazione di lievito, ci metterebbe al sicuro da eventuali pericoli derivanti da una scarsa carbonatazione. I lieviti, in questa specifica fase, preservano la birra da problemi ben più gravi della semplice scarsa gassatura in quanto, come abbiamo potuto osservare fino ad ora, le cellule assorbono ossigeno nella prima fase dall’inoculo, evitandoci difetti dovuti all’ossidazione dei composti presenti nella birra. Tuttavia, aggiungere lieviti freschi ha come obbiettivo, quello di incrementare le chance di fermentazione degli zuccheri, compito non facile, trovandosi in un ambiente alquanto ostile per loro, a causa delle alte concentrazioni di alcol e CO2. Inoltre, l’aggiunta di lieviti in rifermentazione sarebbe inutile se non addirittura pericolosa, qualora non avessero nulla da fermentare. Congiuntamente ai lieviti, dovremo comunque aggiungere anche materiale fermentescibile, per evitare di innescare una possibile, anche se improbabile, autolisi.
Alla luce di quanto sopra, la quantità di lievito da integrare dipende dal grado alcolico della birra, e non del numero di volumi di CO2 che vogliamo incrementare, ma resta sempre centesimale rispetto alle quantità di lievito inoculate per la fermentazione primaria. Stiamo parlando di quantità che vanno da 0,02 a 0,1 g/L di birra. La procedura di inoculo è la medesima utilizzata per la fermentazione primaria; calcolati i grammi di lievito necessari, si lasciano reidratare in un barattolo contenente acqua sterile a 25°C in quantità pari a 10 volte il peso del lievito dopodiché, si versa il contenuto dell’intero barattolo nel tino di travaso, congiuntamente al fermentabile, e si mescola delicatamente per evitare di ossigenare la birra. Non tutti i ceppi di lievito sono ideali per la rifermentazione.
Le principali caratteristiche che questo tipo di lieviti dovrebbe possedere si riassumono in;
- Tolleranza ai livelli alcolici e di CO2 elevati;
- Abilità di sedimentare e permanere sul fondo della bottiglia o del fusto al termine della rifermentazione;
- Alta capacità di metabolizzazione degli zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, saccarosio e maltosio) ma bassa capacità di metabolizzazione di quelli complessi;
- Profilo aromatico neutro.
Tra i lieviti da rifermentazione più usati troviamo il Fermentis Safale F-2 ed il Lallemand LalBrew CBC-1 ma, date le esigue quantità richieste per la carbonatazione e data la loro eccezionale resistenza all’alcol, sarebbe interessante utilizzare anche lieviti specifici per vini frizzanti, spumanti e champagne come il LalVin EC-1118.
