Tutto parte da una buona gestione e pulizia dell’attrezzatura e dell’ambiente di lavoro. Non mi stancherò mai di rimarcare l’importanza di una perfetta sanitizzazione dell’attrezzatura nell’ambito casalingo brassicolo.
Purtroppo, la maggior parte degli Homebrewers novelli tende a sottovalutare l’importanza di queste noiose, faticose ma essenziali procedure. Li riconosci sui forum o nei vari gruppi Facebook dedicati a questo fantastico mondo mentre, disperati e delusi, chiedono ai più esperti come mai la birra gli è riuscita acida, eccessivamente aromatica o maleodorante, con strane patine in superficie o, una volta stappata la bottiglia, zampillante come un Geyser del parco di Yellowstone (effetto Gushing, ne parleremo più avanti). L’esperienza insegnerà, a suon di imprecazioni e intere cotte svuotate nel lavandino, che la corretta pulizia e sanitizzazione dell’attrezzatura, del fermentatore, degli accessori, delle bottiglie e, perché no, anche dell’ambiente dove solitamente si opera, sono fondamentali per la buona riuscita di una cotta. Questo discorso si applica sempre, qualsiasi metodo intenderemo adottare, per produrre la nostra birra (sia questa realizzata con estratto luppolato in latta, E+G o All Grain), ma anche per qualsiasi altro fermentato abbiamo in mente di produrre (sidro, idromele o vino).
Detergente, sanificante, olio di gomito e tanta pazienza.
Dopo aver provato diverse metodologie e prodotti, sono giunto alla triste conclusione che non esistono scorciatoie o prodotti miracolosi utili a detergere e sanitizzare senza fatica, impegno e tanta pazienza. Per garantire una perfetta pulizia e sanitizzazione dell’attrezzatura quindi, si rendono necessari: un breve studio, atto ad individuare le cause responsabili delle contaminazioni e delle conseguenti infezioni; una scelta oculata dei prodotti da acquistare, basata sopra ogni cosa sulle proprie capacità e dimestichezza nell’utilizzo di sostanze più o meno pericolose ed una maniacale attenzione nell’esecuzione di tutte le procedure necessarie, finalizzate al raggiungimento degli obbiettivi prefissati. In merito alle fasi da seguire (scrupolosamente), possiamo distinguerle in prelavaggio, sanitizzazione e risciacquo.
Prelavaggio.
Per rimuovere i residui grossolani della cotta, il classico sapone liquido per i piatti, magari di una buona marca, e possibilmente neutro, è più che sufficiente, se utilizzato congiuntamente ad una spugna e parecchio “olio di gomito”. Questo primo passaggio è utile al fine di sgrassare e rimuovere i residui di lavorazione più evidenti, quali possono essere i resti di luppolo nella pentola di bollitura, le croste di krausen che formano l’anello nella parte alta dei fermentatori, i depositi di lieviti esausti adagiati sul fondo a fine fermentazione, la patina appiccicaticcia che ricopre tutta l’attrezzatura (composta da proteine, zuccheri e polisaccaridi estratti dai malti durante le fasi di ammostamento e bollitura), e quant’altro normalmente imbratta pentole, utensili e fermentatori utilizzati durante la cotta, la fermentazione e la maturazione.
La spugna utilizzata non dovrà, in nessun caso, essere abrasiva. Il motivo di questa scelta è condizionato dal fatto che un’azione meccanica troppo aggressiva, specialmente trattandosi di oggetti realizzati con materiali plastici, provocherebbe una serie di graffi, impercettibili all’occhio umano, dove i residui organici della cotta o della fermentazione si anniderebbero decomponendosi e dando vita a microorganismi contaminanti (funghi, germi e batteri) difficili da debellare, che comprometterebbero inevitabilmente le future fermentazioni.
Dopo un primo lavaggio grossolano, è il momento di passare ad un trattamento più accurato, che rimuoverà quei residui microscopici resilienti al prelavaggio ed invisibili ad occhio nudo, ma ancora presenti sull’attrezzatura e particolarmente attivi. Qui entrano in gioco le decine di prodotti che troviamo nei vari negozi di settore. Tuttavia, la gran parte dei detergenti proposti come sanitizzanti, non svolgono quasi nessuna reale azione sanitizzante. Evitate, quindi, di considerare l’acquisto di un prodotto che vi promette detersione e sanitizzazione completa in un solo passaggio, convinti di potervi sottrare al noioso compito della sanitizzazione.
Una volta terminate le procedure di pulizia e sanitizzazione, è il caso di riporre l’attrezzatura con accuratezza, in attesa di essere utilizzata per la produzione della prossima birra. Il mio consiglio è quello di asciugare bene ed inserire tutti gli strumenti nel fermentatore, sigillarlo e conservarlo in una zona della casa al riparo da correnti d’aria e dalla polvere, possibilmente lontano dal luogo dove usate stoccare i malti, gli zuccheri, i luppoli o qualsiasi altro materiale organico. Questo perché l’alta carica batterica presente su queste materie prime, comporta un reale rischio di contaminazione dell’attrezzatura, qualora questa dovesse venirne a contatto. Ciononostante, seppur non necessario un ulteriore prelavaggio prima di procedere all’utilizzo della strumentazione per produrre una nuova birra, è importante sanitizzare e risciacquare nuovamente tutto al fine di eliminare eventuali polveri e batteri depositatisi durante il periodo di inattività.
Lavaggio biologico o sanitizzazione.
Come accennato poc’anzi, esistono diversi prodotti in commercio che spesso vengono spacciati per sanitizzanti quando in realtà, seppur validi, si limitano alla sola detersione o poco di più. Come scegliere quello ideale alle nostre esigenze? Proprio per non incappare in errori di valutazione, è necessario fare alcune considerazioni; gran parte di questi prodotti sono ottimi detergenti, in grado di aggredire e rendere innocui residui organici rimasti sull’attrezzatura dall’ultima cotta e/o dall’ultima fermentazione, ma non tutti sono in grado di svolgere anche un’azione sanitizzante, perché incapaci di inibire germi e batteri formatisi in tempi relativamente brevi, proprio dalla decomposizione dei suddetti residui organici o contratti attraverso contaminazioni esterne. Per tale scopo, dovremo prendere in considerazione l’uso di prodotti particolarmente aggressivi e, in alcuni casi, anche altamente pericolosi, se maneggiati con superficialità. C’è da considerare che i soli detergenti biologici come quelli enzimatici o a base di ossigeno attivo, nella maggior parte dei casi, non saranno sufficienti ai fini della sanitizzazione totale e sicura della strumentazione e si renderà necessario un ulteriore passaggio con un sanitizzante più efficace e con un più ampio spettro di azione. È perciò consigliabile valutare quale prodotto acquistare, basandosi innanzitutto sulle proprie abilità, ed optare per “l’artiglieria pesante” allorquando si avrà dimestichezza e, soprattutto, coscienza dei rischi derivanti dall’uso di prodotti particolarmente aggressivi. La scelta di questi prodotti è un argomento molto complesso e controverso dove l’esperienza gioca un ruolo fondamentale, ma c’è da dire che, a meno di operare all’interno o nelle immediate vicinanze di un impianto di purificazione di acque nere o di una discarica, la scelta di uno qualsiasi dei prodotti sanitizzanti che analizzeremo nel prossimo articolo (Prodotti sanitizzanti), unitamente ad una meticolosa esecuzione delle procedure di detersione descritte in questo articolo, salvo imprevisti, vi metteranno al riparo da qualsiasi pericolo di infezione.
Risciacquo.
La fase di risciacquo è una procedura sempre utile da operare, anche quando non necessaria, ma diventa indispensabile quando l’attrezzatura, a causa di detergenti particolarmente aggressivi, presenta i tipici segni (macchie e patine opalescenti) rilasciati dagli stessi detergenti. Questi residui, infatti, andando a contaminare il mosto in fermentazione/maturazione, vanificheranno gli sforzi fatti per produrre ed ottenere una birra come era stata originariamente progettata.
Per asportare la schiuma formatasi durante il prelavaggio con detersivo per i piatti, dell’acqua tiepida è più che sufficiente. Non è sufficiente, invece, se per i processi di detersione e/o sanitizzazione abbiamo utilizzato detergenti alcalini. Come vedremo dettagliatamente più avanti, questi detergenti interagiscono a livello molecolare con le sostanze naturalmente disciolte nell’acqua in cui vengono diluiti e con i sottoprodotti organici derivanti dalla lavorazione delle materie prime che si depositano sull’attrezzatura, durante le varie fasi di brassaggio, fermentazione e maturazione. In questi casi è imperativo agire rapidamente con un risciacquo acido, che neutralizzi i depositi rilasciati dal detergente prima che questi asciughino e solidifichino. Per fare ciò è possibile usare un detergente acido non eccessivamente aggressivo, meglio ancora se di tipo non schiumoso, tipo Chemipro© Oxi o Star San. Questi prodotti non necessitano di ulteriori risciacqui in quanto agiscono anche su eventuali batteri presenti nell’acqua in cui vengono diluiti. Tuttavia, essendo alquanto costosi, per risciacquare detergenti alcalini è sufficiente anche un acido organico, come l’acido citrico alimentare (conosciuto in ambito alimentare con la sigla E330), in soluzione di 4 grammi per litro di acqua sterile. Ciononostante, non avendo alcun potere sanitizzante, è necessario sterilizzare preventivamente, tramite bollitura, l’acqua in cui verrà diluito l’acido citrico, per non vanificare la sanitizzazione appena effettuata. Il vantaggio di utilizzare questa sostanza acida è presto detto; facile da reperire, economica, totalmente naturale. È ampiamente utilizzata in ambito alimentare come conservante e regolatore di acidità (quindi, non pericolosa per la salute) e ultimo, ma non meno importante, utilizzabile anche in ammostamento e sparging qualora si presentasse la necessità di abbassare il pH in mashing e quello di sparging.