Siamo giunti alla fine del percorso di produzione e mancano giusto pochi, ma importanti step, per completare un processo che ci ha condotto nel meraviglioso mondo della birrificazione casalinga. Da questo momento, non parleremo più di mosto in quanto, terminata la fermentazione abbiamo a che fare con la birra.
La fermentazione primaria, come abbiamo visto negli articoli ad essa dedicati (qui la sezione), si divide principalmente in due fasi ben distinte; quella in cui i lieviti assorbono ossigeno e nutrienti per rinforzarsi e duplicarsi (fase aerobica), producendo solamente acqua e CO2, e quella in cui metabolizzano gli zuccheri (fase anaerobica) producendo alcol, CO2 e composti caratterizzanti. Alla fine della fermentazione primaria, tutte le sostanze che compongono la birra risultano alquanto grezze, sia al naso che al palato; l’alcol è graffiante, gli aromi sbilanciati, la dolcezza troppo invadente oppure l’amaro particolarmente asprigno. Inoltre, non riuscendo a trattenere l’anidride carbonica prodotta durante la fermentazione, la birra possiede una gasatura insufficiente. Lo scopo della maturazione è quello di arrotondare l’alcol e riequilibrare aromi e sapori, mentre la rifermentazione, ha come obbiettivo gassare la birra. Vediamo come procedere.
Il passo successivo, dopo aver testato la densità e constatato che la FG prevista in ricetta è stata raggiunta, è quello di travasare la birra in un tino o fermentatore pulito e sanitizzato. Questa operazione si prefigge principalmente due obbiettivi: separare la birra dai lieviti esausti e da tutti i residui di lavorazione e fermentazione, e, qualora optassimo per imbottigliare, facilitare la carbonatazione della birra prima del suo confezionamento.
Rifermentazione e maturazione.
Questi due termini non hanno lo stesso significato, e nemmeno lo stesso obbiettivo. La rifermentazione deve essere intesa come procedura atta, principalmente, a carbonare la birra. La maturazione, invece, come processo di stagionatura della birra. Ma andiamo per gradi.
Arrivati a questo punto abbiamo due scelte; effettuare la maturazione in tino (inteso come fermentatore o botte) o in bottiglia. Nel primo caso, il travaso dovrà avvenire esclusivamente in un altro fermentatore equipaggiato con gorgogliatore e, oltre all’aggiunta di eventuali zuccheri, aromi e/o frutta, andrebbe inoculato anche un “rinforzino” di lievito. Tuttavia, sia la maturazione che la seconda fermentazione in tino, hanno senso solo se lavoriamo in “contro pressione”, tecnica attuabile, esclusivamente, utilizzando appositi fermentatori isobarici. Se abbiamo deciso, invece, di maturare la birra, possiamo anche farlo in legno. Necessiteremo di una botte dove farla maturare, magari acidificandola con particolari lieviti selvaggi o batteri lattici. Ritengo che gli argomenti contro pressione e invecchiamento in botte siano temi troppo articolati e complessi per essere descritti accuratamente in un solo articolo. Si tratta di tecniche avanzate, che richiedono una buona dose di esperienza ed una certa abilità in abito brassicolo per essere messe in pratica. Per questi motivi, tratteremo l’argomento in separata sede.
Decidendo invece di imbottigliare, dovremo prima preparare e miscelare una soluzione zuccherina, atta a risvegliare quel poco di lievito ancora vivo e vegeto, che verrà imbottigliato assieme alla birra. La prima fase, che dura in media 15 o 20 giorni, ha come proposito quello di gassare la birra o meglio, quello di carbonarla, attraverso una mini-fermentazione.
Il periodo di maturazione, invece, dipende esclusivamente dallo stile e dal tasso alcolico della birra. Birre giovani a bassa gradazione alcolica, come le birre di frumento e le Ales britanniche, sono solitamente bevibili dopo due o tre settimane dall’imbottigliamento. Le Stout, sebbene birre non eccessivamente alcoliche, hanno bisogno di tempi leggermente più lunghi per esaltare le sfumature tostate che le contraddistinguono; in media dai 30 ai 60 giorni. Birre più forti o più corpulente come le Ales belghe, le birre di Abbazia e le Strong Ales in generale, richiedono all’incirca dai due ai quattro mesi, per affinare l’aroma e ammorbidire l’impeto alcolico che le caratterizza. Anche per le Imperial Stout e le Doppelbock i tempi per esaltarne le caratteristiche e arrotondare l’alto potere alcolico sono alquanto lunghi, e possono arrivare anche a sei mesi di maturazione. Ci sono poi birre da invecchiamento, come le Barleywine, che per fare emergere certe sfumature sono necessari tempi di maturazione molto lunghi, anche di uno o due anni. Le birre a bassa fermentazione, come le Pils e le Lager, considerati i lunghi periodi trascorsi in fermentazione e Lagerizzazione non necessitano di maturazione, ed è consigliabile berle non appena terminata la carbonatazione, solitamente, dopo due settimane. Infine, ci sono le super luppolate come le SIPA (Session IPA), le APA (American Pale Ale), le IPA (India Pale Ale), le DIPA (Double IPA) e le NEIPA (New England IPA) che, a prescindere dal loro grado alcolico, vanno bevute giovanissime, per poter godere appieno del variegato e ricco bouquet aromatico, apportato da una massiccia luppolatura effettuata a freddo. Anche queste, come le birre a bassa fermentazione, terminate le due settimane di carbonatazione, vanno tenute a basse temperature e consumate in tempi brevi.
Tuttavia, gli esempi succitati non devono essere interpretati come vere e proprie regole ma, piuttosto, come una sorta di guida orientativa. Quello di bere una bottiglia ogni tanto ed annotare le vostre sensazioni sul quaderno di cotta o sul proprio blog personale, è l’unico metodo che mi sento di consigliare e che potrà aiutare l'Homebrewer a comprendere quando una birra potrà essere considerata pronta, per essere portata alla grigliata con gli amici. Questo procedimento porterà, non solo a comprendere meglio le molte reazioni che avvengono all’interno delle bottiglie durante tutta la fase di maturazione, ma anche e soprattutto a formare la nostra esperienza di Homebrewer.
Teniamo comunque sempre presente, che col tempo, birre dal corpo sottile e dal basso contenuto alcolico, tendono a perdere molte delle loro caratteristiche fino a diventare, come si usa dire in gergo brassicolo, “Watery”, ovvero con un corpo striminzito ed un aroma impercettibile. Birre che hanno terminato la fermentazione con densità medio-alte, e quindi, con un’alta percentuale di zuccheri complessi ancora disciolti, non corrono questo rischio; gli zuccheri non fermentabili, anche qualora dovessero parzialmente ossidare durante il periodo di maturazione, contribuiscono principalmente a mantenere il corpo della birra abbastanza sostanzioso. Birre dal profilo particolarmente luppolato, come accennato poc’anzi, terminata la rifermentazione dovrebbero essere consumate in tempi brevi. Oltre a perdere rapidamente l’aroma apportato alla birra dagli oli essenziali dei luppoli, l’ossidazione degli α-acidi ne accentuerebbe l’amarezza e trasformerebbe alcune sostanze aromatiche in composti poco gradevoli. Quelle che invece si prestano a lunghe maturazioni, sono birre particolarmente alcoliche. Col tempo gli alcoli superiori, presenti in dosi massicce nelle birre con alte gradazioni alcoliche, danno vita ad interessanti esteri fruttati e aromi caramellati, che apportano morbidezza e attenuano la sensazione alcolica, altrimenti percepibile, bevendo queste birre ancora giovani.